La mia Palermo
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 Non bisogna avere paura di muoversi lentamente quanto di star fermi

                                                                                            (proverbio cinese)

La mia Palermo è quella che vivo quando, quotidianamente, la scorro in lungo e in largo.

Il suo cielo, i suoi monumenti, il suo mare ritrovato, la sua sporcizia e noi, me la fanno amare e soffrire. Non so fare nulla per renderla più importante per NOI. Non mi importa che la conoscano tutti.

Noi NO.

Non a caso vengono per vederla e per lavorare.

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Quando la percorro la tocco, la impreco. Dalle istituzioni ( che la sanno, la  abusano e la violentano, mentre la accarezzano) a chi "governo ladro", mentre prende il caffè, vorrei che possano comprendere che TUTTO dipende da TUTTI.

Il suo porto, il suo mare, le sue barche, la sua allegria, i suoi colori, i nostri mercati, le bancarelle con le olive, le esposizioni di pesce e di frutta.
La Cala, Porta Felice, il Festino. I vicoli affollati. Via della Libertà.
Lapidi, lapidi abbandonate.
L’arretratezza delle borgate in cui sopravvivono superstizione e grottesco integralismo; in cui le conquiste dell’intelligenza vengono rarefatte a feudalesimo.
Il sole, l’alba, i ruderi, i resti della guerra, i monumenti . . .
Capitale regia, vice regia, a poco a poco abbiamo trasferito la sua regalità, la sua “Aziz”, in contenitori opachi in cui la criminalità ha messo le mani.
Panormus: una storia da leggere nelle sue pietre, nei suoi volti, nelle abbanniate.
Il traffico, la confusione, non la confusione arabeggiante, la riducono a caos disordinato e ingestibile.
Rivedendo immagini e foto di qualche anno fa, a volte ho l’impressione che molto sia cambiato, a volte che poco sia cambiato.